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Ennesima giornata di proteste quella di oggi contro il decreto liberalizzazioni. Continuano a essere fermi i Tir,
insieme agli avvocati; dalle 21 di stasera alla stessa ora di domani,
poi, partirà anche la protesta del trasporto pubblico, mentre resta in
calendario quella dei farmacisti, fissata per mercoledì 1 febbraio. Dopo
aver ricevuto la firma di Napolitano, il famoso decreto liberalizzazioni è entrato ufficialmente in vigore, a partire dal 24 gennaio, data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Ma a mettere in allarme gli ambientalisti è la voce “nucleare” del D.L. 1/2012, in cui, tolto questo e messo quello, tagliato qua e cucito là, scomparsi i commi cosiddetti “trivella facile”, appare l’articolo 24 (già 25), “Accelerazione delle attività di disattivazione e smantellamento dei siti nucleari”. Noi lo ribattezziamo “scoria-libera”. Vediamo perché.
Come denunciato nei giorni scorsi, è ora ufficiale che l'articolo del decreto sulle liberalizzazioni relativo allo smantellamento degli impianti nucleari e allo smaltimento dei rifiuti radioattivi
va a modificare e a semplificare le modalità di attuazione, con deroghe
sulle normative ambientali e urbanistiche. E, soprattutto, va a cancellare l’obbligo di ottenere le autorizzazioni ambientali, urbanistiche e di sicurezza previste per tutte le nuove infrastrutture, togliendo il diritto di intervento ai cittadini e agli Enti locali coinvolti.
“Il comma incriminato è il 4, in particolare, il primo capoverso, che di fatto consente al Ministero dello Sviluppo Economico – ci spiega al telefono Viviana Valentini dell’Ufficio Scientifico di Legambiente- di
decidere e approvare i vari progetti di smantellamento anche senza
l'accordo degli Enti Locali, che prima era invece richiesto. Non solo:
il dicastero può decidere anche eventualmente andando contro gli
strumenti di pianificazione locale, conferendo ai progetti in questione
lo status di variante ‘variante di pubblica utilità, indifferibilità e
urgenza’”.
Il capoverso, infatti, recita: “fatte
salve le specifiche procedure previste per la realizzazione del
Deposito Nazionale e del Parco Tecnologico richiamate al comma 3,
l’autorizzazione alla realizzazione dei progetti di disattivazione
rilasciata ai sensi dell’articolo 55 del decreto legislativo 17 marzo
1995, n.230, nonché le autorizzazioni di cui all’articolo 6 della legge
31 dicembre 1962 n. 1860, e all’articolo 148, comma 1-bis, del decreto
legislativo 17 marzo 1995, n. 230, rilasciate a partire dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, valgono anche quale
dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza,
costituiscono varianti agli strumenti urbanistici e sostituiscono ogni
provvedimento amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza,
nulla osta, atto di assenso e atto amministrativo, comunque denominati,
previsti dalle norme vigenti costituendo titolo alla esecuzione delle
opere”.
Il secondo capoverso, inoltre, dice che “per
il rilascio dell’autorizzazione è fatto obbligo di richiedere il parere
motivato del comune e della Regione nel cui territorio ricadono le
opere di cui al presente comma, fatta salva l’esecuzione della
Valutazione d’impatto ambientale ove prevista. La regione competente può
promuovere accordi tra il proponente e gli enti locali interessati
dagli interventi di cui al presente comma, per individuare misure di
compensazione e riequilibrio ambientale senza nuovi o maggiori oneri per
la finanza pubblica”. Quindi, “l’obbligo d richiedere il parere del Comune o della Regione c’è, ma non si tratta di un parere vincolante”, conclude la Valentini.
Insomma, questo articolo altro non fa che calpestare il diritto di intervento degli enti locali, delle
categorie produttive e delle popolazioni interessate dalla
localizzazione di depositi temporanei, o di quello nazionale previsto
per lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi. Per questo Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente, e Stefano Leoni, presidente del WWF Italia hanno scritto una lettera aperta al Presidente Mario Monti,
in cui chiedono che il problema dello smantellamento degli impianti
della filiera nucleare, chiusi dopo il referendum del 1987, e lo
smaltimento dei rifiuti radioattivi venga affrontato in modo sicuro e
definitivo, non con modalità accelerate e semplificate come quelle
previste.
“L'Italia deve risolvere il
problema delle scorie prodotte con la filiera nucleare del passato, ma
lo deve fare in modo trasparente, partecipato e democratico. La strada
scelta dall'esecutivo, a fronte di un apparente efficientismo, rischia
di lasciare irrisolto il problema del trattamento delle scorie. E' per
questo che ci auguriamo fortemente che l'Esecutivo da Lei presieduto
possa cancellare l'articolo in questione”, scrivono i presidenti
delle associazioni ambientaliste, che ricordano anche come il governo
Berlusconi si sia già mosso nella medesima direzione nel 2003, "quando
fu decisa con procedure semplificate davvero discutibili la
localizzazione della discarica per rifiuti radioattivi a Scanzano Jonico
in Basilicata, scatenando una sollevazione popolare che poi portò
l'esecutivo a cancellare dopo qualche settimana la localizzazione
proposta".
Eppure, il governo Monti ha pensato bene di gestire la pesante eredità radioattiva italiana, che consiste nelle scorie prodotte fino alla fine degli anni '80 dalle centrali nucleari, in quelle che stiamo producendo con lo smantellamento in corso degli impianti gestito dalla Sogin,
e in quelle a media e bassa attività che produciamo ogni giorno nel
settore medico, industriale o della ricerca, spianando la strada alla
stabilizzazione dei depositi ora provvisori e alla nascita di nuovi,
ovunque ritenga opportuno, senza le dovute cautele che la questione
richiede. E senza il parere di chi quelle scorie ce le avrà sotto casa.
Roberta Ragni
Tratto da: www.greenme.com
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giovedì 26 gennaio 2012
La trappola nucleare: l’articolo “scoria-libera” del decreto liberalizzazioni
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